Emilia Romagna e celiachia: una colazione priva di glutine per i 7300 celiaci della regione

Dal prossimo anno, i 7300 celiaci dell'Emilia-Romagna avranno a disposizione 30 bar per fare colazione senza glutine. Ma Bologna è maglia nera nelle adesioni al progetto: per 1500 abitanti del capoluogo, cornetto e capuccino a prova di intolleranza rischiano di essere introvabili

Niente birra, pane e pasta. In regione per 7300 persone, la pausa pranzo può diventare un incubo. Si tratta dei celiaci diagnosticati, gli intolleranti al glutine, sostanza contenuta in alcuni cereali. Una cifra che, secondo l’Associazione italiana celiachia (Aic), lievita a 34 mila se si considera il dato sommerso. E’ per venire incontro alle loro esigenze che è stata lanciato la campagna nazionale “Bar-colazioni” che conta, entro la prossima primavera di diffondere in almeno 30 bar dell’ Emilia-Romagna prodotti privi dell’ ”indigeribile” glutine. Ma in città non ha riscosso un grande successo.

A ottobre, al corso di formazione organizzato a Forlì per esercenti, non si è presentato nessun bolognese. “Ci sono giunte in ritardo nuove adesioni che fanno ben sperare", osserva Adriana Serra, responsabile del progetto per l’Emilia-Romagna, e pur non nascondendo le difficoltà non perde di vista l’obiettivo per cui “entro Pasqua in ogni città di provincia, in tutti i grandi ospedali e, in particolare, nella stazione di Bologna, ci sia almeno un bar che offra la colazione a prova di intolleranza”.
E’ pur vero che in Emilia-Romagna, dove un progetto pilota era partito due anni fa, sono già tre i bar che offrono un menù per celiaci a Gatteo Mare, Forlì e Cesena, mentre due ne ha il Piemonte, uno la Puglia e il Trentino. Ma se si considera la guida Aic, dove annualmente sono inseriti i ristoranti e le pizzerie che offrono un free-glutine garantito, la regione ne conta 75 al pari della Sicilia, ampiamente superata da Campania (129), Toscana (119) e Puglia (140). Addirittura in un città come Avellino, con poco più di 50 mila abitanti, i ristoranti sono quattro, mentre a Bologna ce n'è uno solo.
Poca sensibilità o poca sensibilizzazione? Secondo Serra, “da un lato gli esercenti sono spaventati dalle responsabilità”, dall’altro “tanto dipende anche dal lavoro dei volontari”. Quindi tutti assolti, ma resta il dato di fatto. E, soprattutto, i problemi concreti. I bar, infatti, proprio per venire incontro alle esigenze di gestori e per garantire la sicurezza del cliente, “potranno vendere solo prodotti monoporzione, a prova di contaminazione con altri cibi. Il problema, ci fanno sapere dalla sede regionale, è che attualmente non esiste una produzione di questo tipo, pertanto sollecitiamo le aziende perché rispondano alle esigenze di un nuovo mercato”.
A Bologna, a tenere alta la bandiera della cucina politically correct, ci pensa Francesco Carboni. Insieme alla moglie Camilla ha rilevato nella primavera del 2008 un ristorante in via Murri (l'unico in città inserito nella guida), con un menù 'epresso' di 40 portate in cui, assicura, "solo due o tre non sono adatte ad un celiaco". E in città, fuori dal marchio “garantito”, si contano almeno quattro pizzerie che hanno sposato la causa, mentre in via Mascarella , oltre a kebab e falafel, una paninoteca sponsorizza la piadina senza glutine. Piccoli segnali per quel 54% dei celiaci che in città e provincia (secondo un’indagine condotta dall'Aic regionale in collaborazione con l'Ausl di Bologna) "è costretto a portarsi il cibo da casa". "Un problema non da poco, sottolinea Silvana Di Fallo della sede di Bologna, se si considera che per scelta o per necessità, impegno lavorativo o scolastico, mangia fuori casa mensilmente almeno il 94% degli intervistati". E anche la burocrazia crea problemi: Francesca ad esempio, siciliana trapiantata a Bologna, celiaca da cinque anni, si fa spedire ogni mese dalla madre un pacco dall'isola, racconta sconsolata, perché il suo buono per acquistare cibi senza glutine ha solo valore regionale.

 

di Monica Caboi (lastefani.it)